Il mondo vegetale non è un semplice insieme di piante ma il tessuto connettivo su cui ha avuto origine la nostra vita, è un grande corpo di cui noi umani siamo una piccola parte. Da questa riflessione è nata una ricerca, durata sette anni e recentemente presentata alla GNAM di Roma. Un percorso concettuale, ispirato alla neurobiologia vegetale, che porta Balocco a sospendere le piante, completamente denudate – e con le radici esposte – in ambienti comuni (musei, chiese, scuole, case). Il progetto prevede set fotografici complessi in cui viene rovesciato il consueto rapporto tra soggetto e sfondo. Sospendere le (sue) piante nei luoghi dell’uomo, quelli dove abitualmente non sarebbero nemmeno riconosciute, o viste, porta a farle diventare il soggetto principale dell’immagine e non più semplice sfondo. Finché non saranno superati i pregiudizi e la cecità dell’uomo civilizzato, le piante che nel loro insieme costituiscono la maggior parte della vita del nostro pianeta, saranno semplicemente invisibili e come tali “relativamente utili” qui invece sono considerate come creature vitali, complesse e intelligenti, al pari dell’essere umano. Le piante sono dai tempi più antichi il simbolo della vita, l’espressione della meditazione e del tempo dell’evoluzione del pianeta.
Naked plants è anche un libro: pubblicato dalle edizioni Aboca e, in tiratura limitata a 43 copie, con una foto originale 30 x 30)
GIANLUCA BALOCCO. Artista, fotografo e performer. Balocco intende la fotografia come strumento scientifico atto a indagare la linea che congiunge la biologia evoluzionista e l’antropologia contemporanea ispirata al pensiero filosofico di George Didi-Hubermann. La sua ricerca, iniziata negli anni ’80, lo vede, nel
1993, alla XLV Biennale di Venezia con un’installazione video e fotografica, “Viaggio senza Passaporto”. Dopo il volume Naked plants con Aboca, si dedica al progetto “Cosmovisione Shuar”, che presenta, in anteprima, il lungo lavoro realizzato in Amazzonia con il popolo Shuar (Ecuador). Gli scatti, realizzati in aperta collaborazione con il popolo Shuar – un metodo che l’artista definisce di “antropologia partecipata” – evidenziano l’importanza della tutela della biodiversità e saranno raccolti in un libro fotografico dal titolo Witjai. I exist (in uscita). Il suo lavoro è stato, recentemente, presentato alla GNAM di Roma con l’istallazione The Anachronism of the Shaman Power: una serie di opere fotografiche dedicate alle sciamane andine e alle loro cerimonie legate al mondo vegetale.